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Sanzioni ed esportazioni: la “No Russia Clause”

Articolo a cura di Giovanni Winkler

Revisione a cura di Carlo Matarazzo



L’attuazione delle sanzioni da parte dell’Unione Europea contro la Federazione russa ha generato delle notevoli ripercussioni, oltre che nell’ambito del diritto internazionale, anche in diverse altre branche del diritto. Un forte impatto si può registrare in ambito privato, specialmente per quanto riguarda la redazione di contratti che coinvolgono aziende esportatrici e l’adempimento degli obblighi in essi previsti. A questo proposito, il 26 giugno di quest’anno, la Commissione europea ha elaborato l’ultima modifica alla clausola contrattuale “no Russia”, aumentandone la portata e rinominandola “no Russia re-export clause”. Se in precedenza si vietava agli attori economici dei Paesi dell’Unione Europea l’esportazione in Russia di determinate categorie di beni, ora è vietata anche la successiva riesportazione degli stessi da parte di terzi.


Il contesto

Prima di approfondire la clausola in oggetto, risulta opportuno effettuare una panoramica sulla politica sanzionatoria promossa dall’UE nei confronti della Russia.  Tale strategia politica, dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022, costituisce l’apice della condanna europea alla strategia di politica internazionale del Cremlino avviata nel 2014.

Dieci anni fa, infatti, la Russia annetteva la Crimea, regione precedentemente ucraina, al proprio territorio nazionale. L’operazione suscitò una viva condanna da parte della comunità internazionale, che la percepì come un’infrazione alle norme di diritto internazionale e della sovranità dello Stato ucraino.


Le tensioni si sono successivamente intensificate nel 2022 quando, il 24 febbraio, la Russia ha avviato l’operazione di invasione su vasta scala dell’Ucraina. La risposta delle maggiori potenze del panorama occidentale, in primis Unione Europea, Stati Uniti e Regno Unito, è stata l’adozione di sanzioni di gran lunga più severe di quelle risalenti al 2014, che mirano a colpire diversi settori dell’economia russa e dei Paesi suoi sostenitori, tra cui Iran e Corea del Nord.


Le sanzioni

Veniamo ora alla definizione dell’istituto delle sanzioni. Queste sono degli strumenti volti all’attuazione coercitiva delle norme di diritto internazionale, che si caratterizza per il fatto di non presentare entità sovraordinate a Stati e altri attori internazionali cui è demandata l’attuazione coercitiva del diritto. Possono essere imposte da Stati o organizzazioni internazionali e permettono di non ricorrere alla forza militare. Non hanno carattere afflittivo o punitivo, ma il loro unico scopo è far cessare una condotta illecita, indebolendo la capacità economica e militare del Paese bersagliato e creando pressione politica e diplomatica.

Le sanzioni vengono suddivise in economiche, individuali, diplomatiche e militari.


Nello specifico, l’UE ha adottato le prime due tipologie:

  • con le sanzioni economiche si vogliono provocare gravi conseguenze nell’economia russa attraverso le limitazioni all’import/export, divieto di commercio di beni e servizi, congelamento di beni e altre restrizioni finanziarie;

  • le sanzioni individuali sono invece rivolte ai diretti sostenitori dell’operazione militare e a coloro che da essa traggono beneficio. Si prevede per costoro il congelamento dei beni registrati presso banche europee. Nella lista, fra gli altri, Vladimir Putin, il ministro degli esteri Lavrov, l’ex presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovych e l’imprenditore e politico russo con cittadinanza israeliana Roman Abramovich.


Fra i settori maggiormente bersagliati spiccano quello finanziario, dei trasporti, energetico, della tecnologia e degli armamenti.


La "No-Russia clause"

Dopo questa panoramica sul contesto internazionale ed il funzionamento delle sanzioni, è possibile approfondire l’impatto di quest’ultime in materia contrattuale.

Dal 2014, le disposizioni sanzionatorie si sono continuamente evolute ed inasprite, principalmente attraverso i cosiddetti “pacchetti”: insiemi ordinati di disposizioni che introducono nuove restrizioni o modificano quelle esistenti.


Con il dodicesimo pacchetto, risalente a dicembre 2023, è stato introdotto l’obbligo di inserire nei contratti di esportazione verso paesi non appartenenti all’Unione Europea la cosiddetta “no Russia clause”, riformulata il 26 giugno 2024 come “no Russia re-export clause”. Tale clausola, nella sua ultima edizione, si trova in accordo con la politica di irrigidimento delle disposizioni sanzionatorie, e prevede che gli operatori europei inseriscano nei contratti di vendita, fornitura, trasferimento o esportazione di determinati prodotti sensibili, conclusi con controparti di Paesi terzi diversi dalla Russia, l’espresso divieto di riesportazione o di riesportazione per un uso in Russia.


Per tentare di far fronte almeno in parte all’ingente volume di importazioni ed esportazioni vietate dall’Unione Europea, rispettivamente del valore di 48 e 91,2 miliardi di euro, era pratica comune ricorrere alla triangolazione: le merci venivano fatte entrare o uscire dallo Stato sanzionato, passando per un terzo stato compiacente. Per quanto risulti arduo ricostruire in termini quantitativi il ricorso a tale pratica a causa della difficoltà nel rintracciare le transazioni fraudolente, un aumento del 5,6% delle esportazioni UE verso il Kazakistan tra 2022 e 2023 fornisce un dato notevolmente esplicativo, soprattutto se si considera che numeri simili sono stati rilevati nei mercati di Emirati Arabi Uniti, Serbia, Turchia e di altri Paesi una volta parte del blocco sovietico.


La contromisura allora varata dall’UE è una clausola contrattuale basata sulla responsabilizzazione degli operatori.


La clausola nello specifico

La responsabilizzazione degli attori è garantita attraverso l’art. 12-octies (12-g) del Reg. 833, che prevede per l’esportatore l’obbligo di inserire nel contratto il divieto di riesportazione verso la Russia e di riesportazione per un uso in Russia. La disposizione si applica a decorrere dal 20 marzo 2024 “all’atto della vendita, fornitura, trasferimento o esportazione in un paese terzo […] di beni o tecnologie elencati negli allegati XI, XX e XXXV”. In sintesi, ad essere coinvolti sono:

  • ex. allegato XI beni e tecnologie con doppio uso, ossia che si prestano ad un uso tanto civile quanto militare;

  • ex allegato XX carburanti e additivi per carburanti;

  • ex. allegato XXXV armi da fuoco e munizioni.


Fanno eccezione a quanto disposto all’art. 12-g i cosiddetti “paesi partner” elencati nell’allegato VIII, dunque Stati Uniti, Giappone, Regno Unito e Corea del Sud.

Ciò che è stato appena analizzato non si applica tuttavia ai contratti stipulati prima del 19 dicembre 2023, fino al 20 dicembre 2024 o fino alla loro data di scadenza, se precedente.

L’esportatore, secondo quanto sancito al 12-g, deve assicurarsi che i contratti stipulati con le controparti di paesi terzi prevedano rimedi adeguati da adottare nel caso in cui quest’ultime violino la “no re-export to Russia clause”.


Fra i possibili rimedi è opportuno considerare l’imposizione di penali contrattuali, così come l’inserimento di clausole risolutive espresse e la previsione di risarcimento del danno economico e reputazionale causato dall’infrazione degli obblighi previsti dal regolamento 833. Anche clausole di garanzia e di controllo sull’uso finale sono validi strumenti per la tutela della parte esportatrice.


Clausola risolutiva espressa

La clausola risolutiva espressa, prevista dall’articolo 1456 del Codice civile è un elemento centrale nella negoziazione del contratto, che permette alle parti di stabilire a priori le condizioni per una risoluzione del contratto stesso. Dunque, in caso di inadempimento di una specifica obbligazione, quest’ultimo si risolve senza necessità di passare attraverso un giudice o una sentenza risolutiva.

La risoluzione non è tuttavia automatica, in quanto è rimessa alla parte adempiente, che può decidere se invocarla o meno.


La forza dell’espediente in questione è quella di ridurre il margine di incertezza: in sua assenza, la scelta se risolvere o meno il contratto spetta ad un giudice, che deve dichiarare l’inadempimento come grave.

È Fondamentale che siano indicati precisamente gli inadempimenti considerati motivo di risoluzione: una clausola generale, in cui viene pattuito che ogni violazione conduca allo scioglimento del contratto, è considerata invalida dalla Corte di Cassazione.

 

Nel caso dell’esportatore che veda la propria merce essere riesportata verso la Russia, l’esercizio della risoluzione, se è prevista una simile clausola, non è tuttavia un obbligo giuridico, nonostante la severità delle disposizioni dell’articolo 12-g Reg. 833/2014, resa esplicita in particolar modo dall’obbligo di denuncia descritto nel paragrafo successivo. La parte esportatrice potrebbe aver previsto altri rimedi per tutelare la propria posizione, come ad esempio la previsione di risarcimenti. In tal caso l’esportatore, qualora ristorato del pregiudizio materiale e/o reputazionale, potrebbe non aver alcun interesse a sciogliere un accordo economicamente vantaggioso. Qualora invece decida di procedere con la risoluzione, l’iter tradizionale seguito in Italia prevede come primo passo la comunicazione scritta di inadempimento, in cui viene comunicata alla controparte l’intenzione di ricorrere allo scioglimento.


Successivamente, sebbene tale scioglimento avvenga automaticamente, può rendersi necessario un intervento giurisdizionale per risolvere eventuali controversie relative all’inadempimento. Segue poi l’esecuzione, procedimento in cui le parti devono eseguire quanto previsto in caso di risoluzione, come la corresponsione di indennizzi o la restituzione di beni. La risoluzione, infine, ha solitamente effetto retroattivo: deve essere ristabilita la situazione precedente alla nascita dell’accordo, che viene considerato come mai stipulato.


Obbligo di denuncia

Sempre nel complesso articolo 12-g del regolamento 833 dell’Unione Europea, viene segnalato come l’esportatore sia obbligato ad informare le autorità competenti dello Stato membro in cui risiede o è stabilito “non appena viene a conoscenza della violazione”. Tale disposizione afferma un forte principio di cooperazione tra privati e autorità con lo scopo di garantire l’efficacia del sistema sanzionatorio.


Sebbene la disposizione non citi espressamente le conseguenze previste per chi venga meno a tale obbligo, è ragionevole aspettarsi, in primo luogo, l’imposizione di sanzioni amministrative e pecuniarie. Qualora la violazione abbia arrecato un pregiudizio alle parti in causa, fra le quali può figurare lo Stato stesso, la parte responsabile sarà obbligata al risarcimento del danno, tanto reputazionale quanto materiale. Con l’aumentare della gravità della violazione si può incorrere nella sospensione o revoca delle licenze di esportazione fino ad arrivare, nei casi più eclatanti, alla configurazione dei reati di elusione di sanzioni internazionali e contrabbando.

In aggiunta ai provvedimenti interni, i casi di violazione o elusione degli obblighi contrattuali previsti dal regolamento vengono segnalati alla Commissione e agli altri Stati membri.


Punto di vista pratico

Sebbene non sia prevista una formula precisa, la prassi consolidatasi in questi mesi successivi alla sua introduzione è quella di inserire la clausola di divieto di riesportazione in dichiarazioni separate dal contratto di vendita/fornitura e ad esso allegate. In alternativa, può essere inclusa nelle condizioni generali di vendita, ma in tal caso la parte esportatrice dovrà prestare attenzione ai casi in cui la controparte imponga l’applicazione delle proprie condizioni generali d’acquisto, facendo così venir meno l’efficacia delle condizioni di vendita.


Conclusioni

La “no Russia re-export clause” è una manifestazione di come gli obblighi degli operatori economici, in ambito europeo e non solo, siano in costante espansione e di come la gestione dei rapporti commerciali sia vincolata in maniera crescente alle normative sanzionatorie, le quali si inseriscono forzosamente negli accordi tra privati.

Tanto i rapporti commerciali quanto i singoli operatori sono parte integrante di una strategia politica dell’Unione Europea, che li utilizza quali strumenti per estendere indirettamente l’applicazione delle sanzioni a soggetti terzi che da essi non sarebbero vincolati, proprio come gli acquirenti extra UE di merce proveniente dall’UE: sebbene costoro non abbiano vincoli legali tali da impedire la riesportazione in Russia, vengono trattenuti dall’effettuare tale operazione in quanto a causa delle disposizioni sanzionatorie perderebbero il contratto o avrebbero conseguenze economiche svantaggiose con la controparte dell’Unione Europea.


Sulla carta, dunque, l’articolo 12-g del regolamento 833/2014 ha i presupposti per rivelarsi notevolmente più incisivo della sua versione antecedente al 26 giugno 2024, ma il provvedimento è ancora troppo recente per poterne misurare i risultati sul piano pratico: solo il tempo saprà restituirci il verdetto sulla sua efficacia.



BIBLIOGRAFIA:

Bartolini, F. (2023). Codice civile e leggi complementari.


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