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L’eredità Agnelli: l'ultima dinastia

Aggiornamento: 11 apr

Articolo a cura di Andrea Edmondo Colucci Revisione a cura di Carlo Matarazzo



La famiglia Agnelli e il loro portafoglio

2 giugno 1946: gli italiani votano, la monarchia è abolita. Eppure, lungo tutto il corso della storia italiana, è possibile riconoscere una famiglia detentrice di un tale potere da poter essere configurata come una vera e propria dinastia. Stiamo ovviamente parlando della famiglia Agnelli, torinesi come i Savoia, nota a tutti gli italiani per FIAT, Juventus e l’emblematica figura dell’Avvocato Agnelli. Così come nelle dinastie nobiliari, nelle quali ogni passaggio generazionale ha sempre accesso forti tensioni, anche il transito della ricchezza Agnelli ha dato vita a non indifferenti “dissidi”.

 

È facile capirlo se ci si perde ad analizzare quanto effettivamente abbia la famiglia Agnelli in mano. All’apice dell’impero siede Exor, holding finanziaria olandese, con un valore stimato di circa 44 miliardi di euro. A sua volta questa è controllata al 55% dalla Dicembre SS, vero centro di controllo della famiglia Agnelli-Elkann. Le quote della stessa sono spartite fra i nipoti di Gianni Agnelli: 60% per l’erede prediletto John (CEO di Exor), 20% a Lapo e 20% a Ginevra.


Abbiamo prima citato i marchi più noti, storicamente di proprietà degli Agnelli: FIAT e Juventus. Tuttavia, il loro portafoglio di investimenti non si esaurisce qui, ed è anzi molto di più vasto di quanto ci si possa immaginare. Infatti, Exor possiede partecipazioni (di controllo o meno) in circa venti società, nei più disparati ambiti. Cominciando dal settore dell’automobile, Exor risulta essere il principale azionista (14%) del colosso dell’automobile Stellantis, soggetto risultate dalla fusione di FIAT Chrysler Automobiles e PSA, con un fatturato di circa 190 miliardi di euro e 242.000 dipendenti. Anche per quanto riguarda la Juventus, la famiglia ha mantenuto salda la sua partecipazione, con circa il 65% delle azioni.

Si sono poi allargati nel settore dell’informazione, con una partecipazione di maggioranza relativa nel The Economist Group (fra i giornali più influenti nel panorama anglosassone, con una tiratura di 1,6 milioni di copie) ed una di controllo in GEDI Gruppo Editoriale (che a sua volta controlla La Repubblica, La Stampa, Radio Deejay e Radio Capital, per citare solo i più famosi).Ancora, Exor possiede partecipazioni di controllo in Ferrari N.V., Christian Louboutain, CNH Industrial e Philipps. Ultimo, ma non per importanza, la proprietà di azioni sparse, anche se in misura non rilevante come nelle società sopra citate, in società adibite alla raccolta, alla trasformazione ed al commercio di Uranio e Petrolio.


Capiamo bene come, dopo anche solo un approssimativo e sintetico schema della diverse partecipazioni azionarie in mano alla famiglia Agnelli-Elkann, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio impero economico, con mani in pasta nei più svariati settori, tutti denotati da una loro notevole importanza strategica.


È quindi facile immaginare come, di fronte ad un colosso finanziario di tali dimensioni, vi sia terreno fertile per eventuali litigi, rivolti alla definizione dei rapporti interni. Ed infatti, fra Italia e Svizzera, sono aperti ben cinque procedimenti giudiziari, aventi ad oggetto la spartizione di quanto era in mano all’Avvocato Agnelli.

 

Il ricambio generazionale in casa Agnelli

In quanto giuristi è ora nostro compito analizzare su quali basi legali si fondi la controversia ereditaria. Prima però, per poter avere tutti gli strumenti necessari, tocca indagare il contesto, storico-familiare che ha portato alle liti in esame.


Come detto, oggetto della questione è l’eredità dell’ex presidente della FIAT Gianni Agnelli. Questi aveva designato quale suo erede il suo nipote Giovanni, figlio del fratello Umberto. Tuttavia, complice un tumore all’intestino, Giovanni morì (1997), costringendo l’avvocato a cercare un altro nome all’interno della famiglia.


Il prescelto fu il giovanissimo John Elkann (classe 1976), figlio della primogenita Margherita. Al momento della dipartita del nonno, John aveva solo 27 anni, trovandosi catapultato a capo di quanto sopra descritto. Già nel 1997 John possedeva il 24,87% della Dicembre. Tuttavia, per garantire il più solido controllo possibile, nel 2004 la figlia Margherita firmò a Ginevra un patto con i figli in forza del quale rinunciava sia alle quote societarie del padre sia alla futura eredità della madre, ricevendo quale corrispettivo circa 1,2 miliardi di euro (tra immobili, contanti e opere d’arte). L’accordo prevedeva inoltre che Margherita provvedesse a versare una rendita vitalizia alla madre Marella Caracciolo (il cui importo complessivo ceduto si stima, fra il 2004 e il 2019, aggirare intorno ai 9 milioni di euro).


La Dicembre fu così spartita fra i figli di Margherita, nella misura prima esposta (60% a John, 20% a ciascuno dei fratelli). La questione sembrava pacifica e definita. I rapporti fra i figli e Margherita non sono mai stati sereni, secondo quanto dichiarato da ambo le parti. Complice di tutto ciò, il secondo matrimonio della stessa con Serge de Pahlen, da cui ebbe altri 5 figli. L’accordo, secondo la stessa Margherita, venne firmato per garantire la pace, scongiurando ogni possibile contenzioso.


Tuttavia, nel 2007 Margherita Agnelli è in causa con i figli (di primo letto), sia in Italia che in Svizzera, mossa dal timore che, al momento del patto, le fosse stata nascosta una parte del patrimonio del padre. Tuttavia, nel 2015 la Cassazione si è pronunciata ed ha ritenuto infondata la sua pretesa. Pertanto, nel 2020, ha proposto un nuovo giudizio, al momento ancora in corso, volto ad accertare la nullità dell’accordo sottoscritto nel 2004.


Diritto successorio e patti successori

Si tratta di un argomento conosciuto da tutti noi studenti di giurisprudenza, affrontato fra gli ultimi capitoli del Torrente. L’ambito è ovviamente il diritto successorio. Con maggiore precisione, la controversia si svolge intorno alla validità dell’accordo firmato a Ginevra nel 2004: Margherita Agnelli contesta il fatto che si tratti di un patto successorio, nullo in base al diritto italiano.


Il nostro ordinamento parla nel libro II del codice civile di delazione all’eredità, ossia l’atto in forza del quale si offre il proprio asse ereditario ad una persona che, se vuole, la può acquistare. La designazione del successibile può avvenire in due modi: successione legittima (per legge) o successione testamentaria (per testamento). È dunque esclusa la successione per contratto. Ciò in forza di un principio generale dell’ordinamento: la revocabilità delle disposizioni mortis causa.


Quanto detto emerge chiaramente dall’art 679 del codice: “Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie: ogni clausola o condizione contraria non ha effetto”. E, oltre al diritto positivo, anche la storia; il diritto romano recitava: “Ambulatoria est voluntas defuncti usque ad vitae supremum exitum”, ossia “la volontà del defunto deve esser ritenuta mutevole, fino all'ultimo istante della sua vita”. Ogni persona deve dunque essere libera, fino al momento della sua morte, di revocare o modificare il proprio testamento (a tutela del cd. testandi ius).


Parlando in particolare di patti successori (anche noti come patti corvini), occorre riportare l’art. 458 cc: “Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”. Il legislatore ha così voluto circoscrivere le fonti di delazione ereditaria a quella testamentaria e legittima, escludendo la fonte convenzionale.

Il codice individua in particolare tre tipi di patti:

  • Istitutivi: Tizio conviene con Caio di lasciargli la propria eredità;

  • Dispositivi: Tizio vende a Caio i beni che dovrebbero a lui pervenire da una determinata eredità;

  • Rinunciativi: Tizio conviene con Caio di rinunciare all’eredità a lui spettante, seppure non ancora devoluta.

In particolare, il divieto, quanto ai patti istitutivi, ha lo scopo di preservare l’assoluta revocabilità del testamento.


Con riguardo invece ai patti dispositivi e rinunciativi, si vuole evitare che i contraenti, facendo affidamento su un patrimonio di cui non sono ancora titolari, sperperino ciò che presumono di ricevere per successione e che si concludano accordi contrari alla morale pubblica, in vista dei vantaggi economici che potrebbero derivare dalla morte di una persona, evitando che l’altro contraente sia spinto a desiderare la morte altrui per ottenere l’eredità del de cuius.

 

La questione della residenza: quale diritto applicare?

È chiaro come la fattispecie in esame (l’accordo di Ginevra stipulato fra Margherita Agnelli e Marella Caracciolo nel 2004) sia perfettamente sussumibile nella fattispecie delineata dall’art 458 cc. Ne segue, seguendo una banale linea retta, priva di ogni sforzo ermeneutico, la nullità dell’accordo ex 1418 (che fa espresso richiamo al divieto di patti successori).


Tuttavia la realtà è sempre più sfumata di quanto ci possa apparire nella teoria. Infatti, se gli accordi successori sono vietati dal diritto italiano, non lo sono necessariamente in paesi stranieri. Ed è proprio in base alla residenza fiscale del de cuius che si decide quale legislazione nazionale si applica alla successione. Al momento della morte dell’avvocato Agnelli, pare che la vedova Marella Caracciolo fosse residente in Svizzera. Ne conseguirebbe l’applicazione del diritto successorio svizzero, il quale non vieta in maniera assoluta ogni tipo di accordo relativo alla preventiva disposizione in vita della propria eredità.


La questione si sposta dunque all’accertamento dell’effettiva residenza di Marella Caracciolo, contestata dalla figlia Margherita. Il presupposto imprescindibile dell'indagine è dunque quello di dimostrare che Marella Caracciolo di Castagneto, sebbene formalmente residente in Svizzera, fosse fiscalmente residente in Italia. A tal fine, avrebbe dovuto passare almeno la metà di un anno fiscale (ossia almeno 183 giorni) in Italia.

Ebbene, secondo quanto riportato da Margherita Agnelli, questa condizione si sarebbe verificata per l’anno 2018, in cui la madre avrebbe passato molto più tempo in Italia che in Svizzera.


L’eventuale riconoscimento della residenza italiana di Marella Caracciolo di Castagneto potrebbe, dunque, avallare e giustificare una eventuale declaratoria di nullità dell’atto sottoscritto da Margherita Agnelli nel lontano 2004, che risulterebbe anch’esso, di riflesso, regolato dalla normativa italiana.

 

Ultimi aggiornamenti

Il cuore della disputa non riguarda quindi la mera divisione materiale dei beni oggetti dell’asse ereditario, ma anche la corretta applicazione del diritto successorio e la corretta applicazione delle leggi in contesti transnazionali.


Il procedimento è ancora in corso, e probabilmente dovremo attendere anni per conoscerne l’esito. Tuttavia, a inizio dicembre del 2024 la giudice di Torino, Stefania Aloj, ha ammesso la produzione (nel giudizio civile intrapreso da Margherita) dei documenti che originano dal processo penale in corso contro i fratelli Elkann. Questa novità potrebbe essere risultare decisiva per la causa in corso. Questi documenti potrebbero infatti testimoniare l’effettiva residenza della vedova Caracciolo, sbrogliando la matassa cardine del processo civile.

 

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