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Cosa significa essere italiani: tra Ius Scholae e referendum sulla cittadinanza

Articolo a cura di Riccardo Moggio

Revisione a cura di Carlo Matarazzo



Le ultime novità

La proposta di Forza Italia è pronta. Il partito facente parte della coalizione di maggioranza ha annunciato, nei giorni scorsi, che è ormai prossimo a presentare alla Camera una proposta di legge che intende modificare la Legge n. 91 del 5 febbraio 1992, relativa all’acquisto della cittadinanza italiana.


Dalle parole del leader del partito Antonio Tajani e del capogruppo in Commissione Affari Costituzionali Paolo Emilio Russo si evincono i tre punti cardine su cui FI intende concentrarsi:riconoscimento della cittadinanza per tutti coloro che hanno seguito il ciclo completo della scuola dell’obbligo, stretta sulla possibilità di richiedere la cittadinanza in base allo ius sanguinis, riducendola a due generazioni, e semplificazione delle procedure, con particolare riguardo ai tempi di risposta da parte dello Stato.


Tale annuncio pone sotto i riflettori un dibattito sempre aperto, quello relativo ai metodi di attribuzione della cittadinanza a chi risiede in Italia pur non essendo italiano. Al di là di valutazioni di mera opportunità politica, che spesso influenzano tale dibattito, questo articolo si pone l’obiettivo di presentare l’attuale situazione italiana in merito all’acquisto della cittadinanza, e le possibili conseguenze in caso di modificazione della Legge 91/1992.


La disciplina attuale

Partiamo con un’analisi dell’attuale situazione in Italia. Come detto, la legge che disciplina l’acquisto della cittadinanza italiana è la n. 91 del 5 febbraio 1992. All’articolo 1, tale normativa prevede che acquisti ex lege per nascita la cittadinanza italiana:

  • ˙Il figlio di padre o di madre cittadini≫;

  • ≪Chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono≫;

  • ≪Il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza≫.


Il riconoscimento della cittadinanza italiana avviene anche a vantaggio degli stranieri discendenti da avo italiano, emigrato in Paesi ove vige lo ius soli (e dove quindi il discendente da avo italiano acquista la cittadinanza del Paese in qui nasce). L’interessato deve dimostrare la discendenza da avo originariamente cittadino italiano e l’assenza di interruzione nella trasmissione della cittadinanza (ossia mancata naturalizzazione straniera dell’avo dante causa prima della nascita del figlio, mancanza di dichiarazioni di rinuncia alla cittadinanza da parte degli ulteriori discendenti prima della nascita della successiva generazione).

Quanto appena descritto rappresenta il cosiddetto principio dello ius sanguinis, secondo il quale la cittadinanza si ottiene per discendenza o filiazione. Applicazione di questo principio è la regola per cui, nel caso in cui un soggetto dovesse acquistare o riacquistare la cittadinanza italiana, il figlio minore acquista direttamente la cittadinanza, purché conviva col genitore alla data dell’acquisto/riacquisto della cittadinanza e tale convivenza sia stabile ed effettiva, opportunamente attestata con idonea documentazione. Si badi poi che l’adozione di figlio minore è oggi equiparata all’ipotesi di filiazione.


Ѐ poi importante sottolineare come, ai sensi dell’articolo 4 comma 2 della suddetta legge, Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data. Nel momento del compimento del diciottesimo anno di età, cioè, lo straniero nato in Italia può, entro il compimento del diciannovesimo anno, richiedere la cittadinanza.


Questa previsione non va tuttavia confusa come un caso di ius soli: con questo termine si indica l’acquisto per nascita della cittadinanza, sulla base del Paese di nascita (e non della cittadinanza dei genitori). Tale principio è vigente in numerosi Paesi americani, primi tra tutti gli Stati Uniti, mentre in Europa non è particolarmente diffuso. Sicuramente non trova applicazione nell’articolo 4 comma 2 della Legge 91/1992, che prevede invece un’ipotesi di riconoscimento della cittadinanza, su richiesta dell’interessato e solo dopo diciotto anni di residenza ininterrotta.


Similmente, sono previsti dal nostro ordinamento anche casi di naturalizzazione: ipotesi in cui il cittadino straniero in possesso di determinati requisiti faccia richiesta della cittadinanza italiana. Ad oggi, le ipotesi di naturalizzazione sono più di una, e richiedono alternativamente, come requisito, una permanenza sul territorio della Repubblica di almeno:

  • Dieci anni per gli stranieri che non siano cittadini di uno Stato UE;

  • Quattro anni per i cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea;

  • Tre anni, per lo straniero che è nato nel territorio della Repubblica o il cui padre, la madre o i nonni, sono stati cittadini italiani per nascita;

  • Cinque anni successivi all’adozione, per lo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano;

  • Cinque anni per l’apolide, con decorrenza dal riconoscimento del relativo status.


Insieme a uno di questi requisiti è poi richiesta una conoscenza di livello B1 della lingua italiana, un reddito minimo annuo (che varia a seconda della presenza o meno di un nucleo familiare a carico del richiedente) e l’assenza di condanne penali e di pericolosità sociale.

La cittadinanza può acquistarsi anche per matrimonio con cittadino italiano.


In base all’articolo 5, comma 1, della Legge 91/92 il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora non sia separato o divorziato. 

I predetti termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi.


Infine, come ultimo caso, la cittadinanza può essere concessa allo straniero, quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.


Cosa significa essere cittadini italiani

Prima di proseguire, è bene chiarire cosa significa essere cittadini italiani e cosa ciò comporta.

La cittadinanza può essere intesa come uno status giuridico, ovverosia un fascio di posizioni giuridiche, attive e passive (diritti e doveri), riconosciute all’individuo in ragione della sua appartenenza a una determinata comunità politica. Da un’altra prospettiva, si può intendere la cittadinanza come un legame di appartenenza dell'individuo a una determinata comunità politica, a prescindere dai diritti e dai doveri che il cittadino potrà professare.

Dal punto di vista politico, essere cittadino significa poter essere elettore sia attivo che passivo, nonché aderire a quegli strumenti partecipativi previsti a tutela del cittadino, quali il referendum, o la petizione popolare.


Infine, la cittadinanza riconosce la possibilità per la persona interessata di ottenere le prestazioni assistenziali garantite dallo Stato, quali la malattia, la pensione di vecchiaia, i sussidi per la disoccupazione, il reddito di cittadinanza e quant’altro.

Essere riconosciuti come cittadini italiani significa quindi poter accedere a una serie di diritti e benefici di notevole rilevanza, ma più di ogni altra cosa significa poter essere completamente integrato all’interno di un determinato tessuto sociale, nel quale non ci si potrebbe altrimenti identificare a pieno.


Da specificare, infine, che acquisire la cittadinanza italiana comporterebbe automaticamente l’acquisizione di un altro status veramente importante: quello di cittadino europeo. La cittadinanza europea è una cittadinanza indipendente da quella nazionale, che viene assegnata a tutti i cittadini di Paesi UE: comporta, tra l’altro, il diritto di libero movimento all’interno dell’Unione, e conferisce la qualifica di elettore passivo e attivo  sia alle elezioni del Parlamento europeo, che alle elezioni amministrative del comune di residenza del cittadino europeo (anche questa è in uno Stato diverso rispetto a quello di cui ha la nazionalità).


Le possibili proposte...

Quali sono dunque i modelli di acquisto della cittadinanza che potrebbero essere implementati nel nostro ordinamento?

Lius soli, di cui già si è detto, prevede la concessione automatica della cittadinanza a chi nasce sul territorio nazionale. In realtà, nessuna proposta di legge in Italia ha mai considerato un diritto così ampio. Tra i paesi che adottano lo ius soli ci sono gli Stati Uniti e la Francia; in quest’ultimo Paese è però richiesto che i genitori del minore abbiano già un permesso di soggiorno.


Una proposta di legge è stata invece presentata, dal deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe Brescia nel 2022, per ottenere l’approvazione del cosiddetto ius scholae: tale proposta mirava a concedere la cittadinanza italiana ai minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, dopo aver completato un ciclo scolastico di almeno cinque anni. Secondo alcune stime, questo avrebbe potuto rendere immediatamente italiani circa 135.000 studenti già presenti nel paese. Nonostante un ampio sostegno, la proposta però non è andata avanti dopo il cambio di legislatura.


Simile allo ius scholae era il cosiddetto ius culturae, parte di un disegno di legge approvato nel 2015, che vedeva unite 25 differenti proposte. Anche questo progetto si è arenato dopo le elezioni. La cittadinanza sarebbe stata concessa al completamento di un ciclo scolastico con successo, basandosi sul principio che lo straniero debba dimostrare attivamente la sua volontà di integrazione.


...e quella attuale di Forza Italia

Ciò detto, possiamo provare ad analizzare la proposta che Forza Italia ha avanzato in questi giorni.Partiamo col dire che il Vicepresidente del Consiglio dei ministri Antonio Tajani ha parlato di questo progetto di legge riferendosi ad esso con l’espressione di Ius Italiae. Tale definizione è stata probabilmente coniata per rendere meno invisa la proposta agli alleati nella coalizione di governo, evitando in tal modo di associarla a quella presentata due anni fa dal Movimento 5 Stelle.


Nei contenuti, tuttavia, la proposta pare abbracciare l’idea di introdurre uno ius scholae a tutti gli effetti: si parla infatti di concedere la cittadinanza a quegli stranieri, nati in Italia o arrivati non dopo i cinque anni di età, che hanno concluso un ciclo di dieci anni di scuola dell’obbligo: cinque di elementari, tre di medie e due di superiori.

Inoltre, il disegno di legge dovrebbe includere una restrizione a due generazioni, quindi fino ai nonni, degli antenati italiani grazie ai quali gli stranieri possono acquisire la cittadinanza per discendenza (principio dello ius sanguinis).

Per finire, sarebbe prevista la riduzione da tre a un anno del periodo in cui lo Stato deve o può rispondere alle richieste di cittadinanza.


La notizia di un’apertura di Forza Italia alla possibilità di estendere la cittadinanza a più residenti sul suolo italico ha suscitato una reazione avversa da parte dei partiti alleati nella coalizione, Fratelli d’Italia e Lega. Lucio Malan, capogruppo di FdI al Senato, ha sottolineato che non vi è un’opposizione netta alla proposta, ma piuttosto un’apertura al confronto, purché vengano mantenuti alcuni principi fondamentali. Mi sembra giusta anche la parte in cui si mette un limite al diritto di avere la cittadinanza italiana se discendenti da italiani: il legame dev’essere reale, ha aggiunto Malan, segnalando che ogni riforma dovrà rispettare i legami effettivi con l’Italia.


Più netta, invece, la posizione della Lega, che si è dichiarata contraria a qualsiasi modifica nel senso di un allargamento della cittadinanza alla legge del ’92, attraverso le parole del suo capogruppo alla Camera Riccardo Molinari.


Il referendum sulla cittadinanza

In questo dialogo -se non scontro- tra il centrodestra, si inserisce inoltre il referendum voluto da Riccardo Magi, leader di +Europa, che ha già raggiunto le 500.000 firme richieste per l’ammissibilità del quesito. Questo ora passerà in Corte costituzionale, che verso gennaio avrà il compito di valutarne la legittimità: se l’esito del vaglio dovesse essere positivo, in primavera i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per votare in merito all’abrogazione di parte dell’articolo 9 della Legge 91/1992: nello specifico, si chiede di abbassare da 10 a 5 anni gli anni di residenza legale continuativa per avviare la richiesta di cittadinanza da parte di stranieri residenti in Italia, nati altrove e che non siano cittadini di altro Stato UE (per cui come detto è già previsto un termine abbreviato).


Si stima che, se la proposta dovesse essere accolta -a maggioranza semplice dei votanti-, circa 2,5 milioni di stranieri potrebbero fare richiesta per ottenere la cittadinanza. Tuttavia, per essere valido il referendum abrogativo richiede un quorum costitutivo pari al 50% + 1 degli aventi diritto al voto: pensare che più di 25 milioni di italiani si rechino alle urne (51,5 milioni sono gli aventi diritto stimati in Italia) sembra essere una previsione oltremodo ottimistica (si pensi che all’ultimo referendum tenutosi l’affluenza è stata pari al 20,9% degli aventi diritto).


I dati attuali e i possibili mutamenti

Stante la suddetta disciplina, i dati demografici attuali dell’Italia sono i seguenti:

  • Residenti complessivi in Italia: 59.287.140;

  • Stranieri residenti in Italia: 5.307.598, di cui 1.050.842 minorenni e i restanti 4.256.756 maggiorenni;

  • Studenti con cittadinanza non italiana che frequentano le scuole italiane: 870.000, di cui quasi il 70% sono nati in Italia. 


In base agli ultimi dati Eurostat, nel 2022 gli stranieri immigrati che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono in totale 213.716, il 76% in più rispetto al 2021, quando erano diventate italiane 121.457 persone. Nel 2022, è divenuto italiano il 4,3% dei residenti con cittadinanza non italiana a fronte di una media del 2,6% per l’intera Unione Europa: la maggior parte delle nuove cittadinanze (in numero assoluto) è stata concessa dall’Italia (22% del totale dell’UE).


Quale strada seguire?

Alla luce di tali dati, una prima impressione è che, anche senza aumentare le casistiche in cui un residente non italiano possa fare richiesta per la cittadinanza, l’Italia dia già la possibilità a molti stranieri di diventare cittadini. In effetti, la legge del ’92 prevede molteplici casistiche di naturalizzazione e di riconoscimento della cittadinanza.

Il quesito referendario, da un lato, non introdurrebbe un’ipotesi nuova di naturalizzazione: questa è già concessa in base a un periodo di residenza continuativo, che semplicemente verrebbe ridotto da 10 a 5 anni. Dall’altro lato, la proposta di FI intende introdurre un’ipotesi diversa da quelle preesistenti di concessione della cittadinanza, e particolarmente dirompente: permetterebbe a stranieri, anche non nati in Italia, di diventare italiani addirittura prima del compimento della maggiore età.


Per valutare l’opportunità di tali proposte e simili, è bene tenere a mente due temi fondamentali: che significato si vuole attribuire alla cittadinanza, e per che ragione si intende concederla.

Questi due aspetti vanno di pari passo: si può identificare il concetto di cittadinanza come sinonimo di identità culturale, di condivisione di valori, di popolo legato a un determinato territorio. Di conseguenza, ha senso riconoscere come cittadino italiano un qualsiasi straniero, che possa considerarsi pienamente integrato a livello sociale, prima che politico, nella comunità. Questa è l’idea contenuta nelle parole di Antonio Tajani, quando parla di Ius italiae: chi compie un ciclo di dieci anni di scuola in Italia «diventa italiano perché si è formato come un italiano».


Diverso è invece considerare la cittadinanza prima di tutto sul piano politico, e realizzare un binomio cittadini – elettori che rischia di far perdere di vista il vero significato di questo concetto. Se si segue questa interpretazione, concedere o meno la cittadinanza a più soggetti diventa una valutazione di opportunità politica, relativa ai mutamenti che ciò potrebbe comportare nel corpo elettorale e alle conseguenze sul piano delle prestazioni assistenziali garantite (basti pensare che l’approvazione del suddetto referendum porterebbe 2,5 milioni di persone a poter fare richiesta di cittadinanza).

Certamente queste sono considerazioni che hanno un risvolto pratico notevole e sono da tenere in conto, ma non devono far dimenticare il significato più profondo dell’essere cittadino di un Paese. Bilanciare questi interessi non è una strada semplice, ma è l’unica da seguire se non si vuole trasformare la cittadinanza in un mero strumento di campagna elettorale.



BIBLIOGRAFIA:

LEGGE 5 febbraio 1992, n. 91 (GU n.38 del 15-02-1992)




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