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Apple vs Europa: La Big Tech multata per 13 miliardi

Articolo di Umberto Ciolino

Revisione a cura di Carlo Matarazzo



Premessa

Nel 1980, Apple ha deciso di stabilire la propria sede europea a Cork, in Irlanda. Questa scelta è stata strategica per la multinazionale statunitense, poiché l’Irlanda offriva un regime fiscale favorevole e un accesso privilegiato al mercato europeo. Dal 1991 al 2014, Apple Inc. e le sue due filiali irlandesi, Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe (AOE), sono state soggette a un accordo di ripartizione dei costi relativi alla ricerca e sviluppo (R&S) delle tecnologie utilizzate nei prodotti del gruppo. Questo accordo prevedeva la condivisione dei costi e dei rischi legati all'R&S dei beni immateriali, mantenendo però Apple Inc. come unica titolare di tali beni, inclusi i diritti di proprietà intellettuale.

In forza di tale accordo, Apple Inc. ha concesso ad ASI e AOE una licenza esente da royalties, che permetteva alle due filiali di produrre e vendere i prodotti Apple nei territori loro assegnati, che comprendevano tutti i mercati al di fuori del continente americano. Questo accordo ha consentito alle filiali irlandesi di gestire operazioni in Europa e in altre parti del mondo, tranne il Nord e Sud America.

Nel 1991 e nel 2007, le autorità fiscali irlandesi hanno emesso due “ruling fiscali” preventivi a favore di ASI e AOE, le quali, pur costituite come società di diritto irlandese, non erano fiscalmente residenti in Irlanda. Tali accordi confermavano la validità dei metodi utilizzati da ASI e AOE per determinare gli utili imponibili in Irlanda. In particolare, venivano esclusi dalla base imponibile gli utili generati dall'utilizzo delle licenze di proprietà intellettuale, poiché le decisioni riguardanti la gestione di tali licenze venivano prese direttamente negli Stati Uniti, dove queste società avevano sede.

Grazie a questo sistema, l'Irlanda è riuscita a mantenere un rapporto privilegiato con Apple, che nel frattempo è diventata una delle aziende più potenti al mondo. Questo rapporto non solo ha garantito la permanenza della sede europea di Apple in Irlanda, ma ha contribuito significativamente all'economia locale, come dimostrato dall'occupazione di oltre seimila persone a Cork, corrispondente a circa un quarto dei dipendenti Apple in Europa.

Tuttavia, la Commissione Europea, sotto la guida della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, ha espresso preoccupazioni riguardo ai metodi utilizzati per attribuire gli utili alle filiali irlandesi di Apple. La Commissione ha sostenuto che questi metodi si discostavano dai principi della libera concorrenza, in particolare in materia di transfer pricing. Secondo la Commissione, i ruling fiscali concessi hanno ridotto indebitamente la base imponibile di ASI e AOE e dunque l’imposta sulle società dovuta dalle stesse in base al regime ordinario di tassazione degli utili societari in Irlanda, conferendo pertanto un vantaggio selettivo illecito alle stesse società ai fini dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE.


Ruling fiscali e Aiuti di Stato: la giurisprudenza dell'UE e il Caso Apple

Il 9 novembre 2023, l'Avvocato Generale Giovanni Pitruzzella, nelle sue conclusioni sulla causa C-465/20 P, ha sottolineato come la vicenda rientrasse in una consolidata giurisprudenza riguardante l'applicazione dell'articolo 107, paragrafo 1, TFUE, che regola i cosiddetti "ruling fiscali" e la loro compatibilità con la normativa sugli aiuti di Stato. Per meglio comprendere il caso, è opportuno delineare il quadro normativo di riferimento.

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito, sulla base di precedenti giurisprudenziali, che per qualificare una misura come "aiuto di Stato" ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, TFUE, l’intervento deve:

  1. Essere attribuibile allo Stato o realizzato mediante risorse statali;

  2. Essere idoneo a incidere sugli scambi tra gli Stati membri;

  3. Conferire un vantaggio selettivo al suo beneficiario;

  4. Alterare o minacciare di alterare la concorrenza nel mercato interno.


Il tax ruling, invece, rappresenta un accordo vincolante tra l’amministrazione fiscale di uno Stato membro e un’impresa, in cui viene fornito un chiarimento sul regime fiscale che verrà applicato. Questo strumento permette alle imprese di conoscere in anticipo il trattamento fiscale cui saranno soggette, impegnando l’amministrazione tributaria a rispettarlo. Secondo la definizione fornita dalla Banca dati terminologica dell'Unione Europea (IATE), il tax ruling è una "pratica che permette alle società di negoziare anticipatamente, con l'amministrazione fiscale di un determinato Paese, degli accordi al fine di fissare il regime impositivo, il calcolo della base imponibile e il consequenziale prelievo erariale per installarsi in quel Paese".


L'Avvocato Generale Pitruzzella ha evidenziato nelle sue conclusioni che la disciplina degli aiuti di Stato non può essere utilizzata per raggiungere un'armonizzazione fiscale, che spetta agli Stati membri, né per contrastare la concorrenza fiscale tra Paesi, che rimane legittima. La mera esistenza di differenze nei regimi fiscali nazionali e la concorrenza fiscale tra Stati, infatti, non costituiscono automaticamente un aiuto di Stato e non sono vietati. Tuttavia, la Commissione ha il dovere di verificare se eventuali ruling fiscali concedano un vantaggio selettivo a determinate imprese, alterando la concorrenza.


Un tema ricorrente nella giurisprudenza sugli aiuti di Stato, infatti, riguarda l’equilibrio tra l'autonomia fiscale degli Stati membri e l’obbligo di conformarsi alle regole della concorrenza previste dal diritto dell'UE. Sebbene la fiscalità diretta sia competenza nazionale, le misure fiscali devono essere conformi alle normative sugli aiuti di Stato, finalizzate a garantire la parità di condizioni nel mercato interno.


Nel caso di specie, era fondamentale determinare se i ruling fiscali concessi dall'Irlanda ad Apple conferissero un vantaggio selettivo rispetto ad altre imprese in situazioni comparabili. La Corte ha sottolineato che, per stabilire la selettività di una misura fiscale, ai sensi dell’articolo 107 TFUE, la Commissione deve prima individuare il sistema di riferimento, ossia il regime fiscale "normale" applicabile nello Stato membro. Successivamente, deve dimostrare che la misura contestata rappresenti una deroga a tale sistema, generando una differenziazione tra operatori economici che si trovano in una situazione giuridica e materiale analoga. In tal senso, multinazionali come Apple, che detengono un notevole potere di mercato, potrebbero risultare avvantaggiate rispetto ad altre imprese, compromettendo il level playing field.


La giurisprudenza ha inoltre chiarito che tale regola non preclude, comunque, la possibilità di rilevare che il quadro normativo nazionale, così configurato, risulti incompatibile con il diritto UE sugli aiuti di Stato, qualora fosse strutturato in modo da eludere le norme europee.


Sentenze precedenti

Nel 2016, la Commissione Europea ha concluso che i ruling fiscali concessi a ASI e AOE tra il 1991 e il 2014 costituivano un aiuto di Stato illegale e incompatibile con il mercato interno, ai sensi dell'articolo 107 TFUE. La Commissione ha sostenuto che i profitti generati dall'uso delle licenze di proprietà intellettuale detenute da ASI e AOE avrebbero dovuto essere inclusi nella base imponibile irlandese, data la loro partecipazione diretta all'attività economica in Irlanda. Poiché tali utili non erano stati tassati adeguatamente, la Commissione ha ordinato all'Irlanda di recuperare circa 13 miliardi di euro in imposte non versate. Cifra che è stata poi versata in un conto di garanzia nel 2018 in attesa del ricorso.


Questa decisione è stata, infatti, contestata sia da Apple che dal governo irlandese. Il governo ha sostenuto che i ruling fiscali erano conformi alla legislazione nazionale e che non rappresentavano una deroga al regime fiscale ordinario, temendo che una decisione contraria potesse indurre altre multinazionali, attratte dal regime fiscale favorevole dell'Irlanda, a trasferire le loro operazioni in altri Paesi. Per questo motivo, le autorità irlandesi si sono schierate al fianco di Apple nel ricorso contro la decisione della Commissione.


Nel 2020, il Tribunale dell'Unione Europea, tribunale di primo grado dell’Unione Europea, con le decisioni del 15 luglio, Irlanda/Commissione, T-778/16 e T-892/16, ha annullato la decisione della Commissione, ritenendo che non fosse stato sufficientemente dimostrato che i ruling fiscali avessero conferito un vantaggio selettivo ad Apple. Il Tribunale ha infatti dichiarato che il ragionamento in via principale della Commissione era fondato su valutazioni errate quanto alla tassazione normale in forza del diritto tributario irlandese applicabile nel caso di specie, accogliendo le censure dedotte dall’Irlanda nonché dall’ASI e dall’AOE contro le valutazioni fattuali operate dalla Commissione riguardo alle attività delle succursali irlandesi delle due società, annullando così la richiesta di recupero delle imposte. Tuttavia, la Commissione ha impugnato la sentenza del Tribunale dinanzi alla Corte di Giustizia, sostenendo che il concetto di "vantaggio" fosse stato applicato in modo errato, in violazione dell'articolo 107, paragrafo 1, TFUE.


L'Avvocato Generale Pitruzzella, nelle sue conclusioni, ha raccomandato alla Corte di Giustizia di annullare la sentenza del Tribunale e di rinviare il caso per un nuovo esame.


La sentenza del 2024: la Corte di Giustizia conferma l'illegittimità degli accordi fiscali di Apple

Con la sentenza del 10 settembre 2024, nella causa C-465/20, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha annullato la sentenza del Tribunale del 15 luglio 2020:

  • nella parte in cui accoglie le censure dedotte dall’Irlanda nell’ambito dei motivi dal primo al terzo nella causa T-778/16 e dalla Apple Sales International Ltd e dalla Apple Operations Europe Ltd nell’ambito dei motivi dal primo al quinto nella causa T-892/16,

  • nella parte in cui annulla la decisione (UE) 2017/1283 della Commissione, del 30 agosto 2016, relativa all’aiuto di Stato SA.38373 (2014/C) (ex 2014/NN) (ex 2014/CP) al quale l’Irlanda ha dato esecuzione a favore di Apple, e nella parte in cui statuisce sulle spese.

Così facendo, la Corte ha confermato la validità della decisione della Commissione del 2016. La Corte ha stabilito che i ruling fiscali concessi dall'Irlanda avevano effettivamente conferito un vantaggio selettivo a ASI e AOE, in violazione delle norme sugli aiuti di Stato.


La Corte ha chiarito che il sistema fiscale irlandese non era stato configurato secondo parametri manifestamente discriminatori. Tuttavia, ha rilevato che la Commissione aveva correttamente dimostrato che i ruling fiscali avevano ridotto artificialmente la base imponibile delle filiali irlandesi di Apple, permettendo alla multinazionale di ottenere un vantaggio fiscale non disponibile ad altre imprese, in modo non conforme al principio di libera concorrenza.


La Corte ha sottolineato che i prezzi di trasferimento utilizzati tra le varie entità del gruppo Apple non riflettevano le condizioni di mercato che sarebbero state applicate tra entità indipendenti. Questo squilibrio ha permesso ad Apple di ridurre il proprio carico fiscale in Irlanda, a danno della concorrenza.


Il Tribunale UE, secondo la Corte di Giustizia, aveva commesso un errore nel dichiarare che la Commissione non avesse fornito prove sufficienti per dimostrare che i diritti di proprietà intellettuale detenuti da ASI e AOE e i relativi utili generati dalle vendite di prodotti al di fuori degli Stati Uniti dovessero essere imputati alle filiali irlandesi. Più in particolare, incorrendo in errore, il Tribunale ha dichiarato che:

  • il ragionamento in via principale della Commissione era fondato su valutazioni errate quanto alla tassazione normale in forza del diritto tributario irlandese applicabile nel caso di specie,

  • ha accolto le censure dedotte dall’Irlanda nonché dall’ASI e dall’AOE contro le valutazioni fattuali operate dalla Commissione riguardo alle attività delle succursali irlandesi dell’ASI e dell’AOE e alle attività al di fuori di dette succursali.

Dopo aver esposto i motivi dell’annullamento della sentenza del Tribunale, la Corte ha deciso di statuire definitivamente sul ricorso, confermando che le attività delle succursali irlandesi di ASI e AOE dovevano essere comparate a quelle delle sedi estere delle stesse società, e non con quelle di altre entità del gruppo Apple.


La sentenza ha ribadito che la Commissione aveva dimostrato il carattere selettivo del vantaggio concesso ad Apple tramite i ruling fiscali e che non vi era stata alcuna interferenza con le competenze degli Stati membri. Pertanto, i ricorsi presentati dall’Irlanda e da Apple sono stati definitivamente respinti, con condanna a carico delle ricorrenti per il pagamento delle spese legali.


Le reazioni alla sentenza: Apple, Irlanda e l'Unione Europa a confronto

A seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell'UE, il portavoce di Apple, Julien Trosdorf, ha dichiarato che il caso non riguardava la quantità di imposte pagate dall'azienda, ma piuttosto quale Stato fosse legittimato a riceverle. Apple ha sostenuto di aver sempre pagato le tasse dovute in tutti i Paesi in cui opera e ha ribadito che non vi erano stati accordi fiscali speciali. La Commissione, secondo Apple, stava cercando di cambiare retroattivamente le regole, ignorando che il reddito dell'azienda era già soggetto a imposizione negli Stati Uniti. La società ha espresso delusione per la decisione della Corte, ricordando che in passato il Tribunale aveva annullato il caso dopo un'attenta analisi dei fatti.

Jack Chambers, ministro delle Finanze irlandese, ha cercato di minimizzare l’impatto reputazionale per l’Irlanda, descrivendo il caso Apple come una "questione ereditata" legata a regole fiscali ormai superate. Chambers ha dichiarato che il sistema fiscale irlandese era stato già modernizzato e che l'Irlanda non aveva concesso trattamenti preferenziali a nessuna azienda. Aggiungendo che non erano stati avviati contatti con Apple o le autorità statunitensi dopo la sentenza. Chambers ha affermato, inoltre, di non essere a conoscenza di altri casi simili in Irlanda o di ulteriori indagini da parte della Commissione Europea.


D’altro canto, Margrethe Vestager, Commissaria Europea per la concorrenza, ha accolto con favore la sentenza della Corte di Giustizia, definendola una "vittoria per la parità di condizioni nel mercato interno e per la giustizia fiscale". Vestager ha rimarcato la sua dura posizione contro le multinazionali che sfruttavano scappatoie fiscali e differenze normative tra i vari sistemi fiscali europei. Secondo Vestager, alcuni Stati membri utilizzavano pratiche fiscali aggressive per attrarre le multinazionali, danneggiando così gli altri Paesi e i contribuenti europei.


Margrethe Vestager e la lotta contro le Big Tech: una panoramica delle sanzioni

La sentenza del 2024 rappresenta un precedente rilevante non solo per Apple, ma per tutte le multinazionali che operano in Stati membri dell'UE con regimi fiscali favorevoli. Essa rafforza il potere della Commissione Europea di intervenire contro accordi fiscali che distorcono la concorrenza nel mercato interno. La decisione riafferma inoltre la necessità di un controllo rigoroso dei ruling fiscali, inviando un messaggio chiaro agli Stati membri sull'importanza di conformarsi alle normative UE sugli aiuti di Stato. Inoltre, la sentenza riapre il dibattito sulla necessità di una maggiore armonizzazione fiscale all’interno dell’Unione Europea.


Lo stesso giorno, la Commissione Europea ha ottenuto un'altra importante vittoria contro Google, con la Corte di Giustizia che ha stabilito che la big tech aveva abusato del suo potere di mercato favorendo il proprio servizio di shopping rispetto a quelli dei rivali. Questo abuso, secondo la Corte, aveva conferito a Google un vantaggio illegale e sleale, per il quale l'azienda è stata multata per 2,4 miliardi di euro. Google ha dichiarato di essere delusa dalla decisione, avendo apportato modifiche al proprio servizio nel 2017 per conformarsi a una precedente decisione della Commissione.


Queste decisioni evidenziano la dura posizione dell'Unione Europea nei confronti delle Big Tech, che negli ultimi anni si è estesa all'emanazione di regolamenti per limitare il potere di tali società, ultimo dei quali il Digital Markets Act(DMA), entrato in vigore lo scorso anno.


La sentenza Apple rappresenta un successo significativo per Margrethe Vestager, che ha svolto un ruolo cruciale nella regolamentazione delle big tech durante i suoi due mandati come Commissaria per la concorrenza. Vestager, che dovrebbe lasciare il suo incarico quest’anno, ha costantemente affrontato casi di alto profilo contro le più grandi aziende tecnologiche del mondo, cercando di regolare i loro comportamenti fiscali e di mercato nell'Unione Europea.


Negli ultimi anni, gli sforzi dell'UE per indagare sugli accordi fiscali tra multinazionali e Stati membri hanno incontrato vari ostacoli. Casi come quelli contro Starbucks e Fiat Chrysler sono stati respinti, con i giudici che hanno contestato il metodo adottato dalla Commissione per classificare gli accordi di abbassamento o azzeramento delle aliquote fiscali come aiuti di Stato illegittimi. In particolare, la Corte ha osservato che l’Antitrust europeo avrebbe dovuto dimostrare che uno Stato membro adottava misure in contrasto con la propria legislazione fiscale, e non con un ipotetico diritto fiscale armonizzato a livello UE, che allo stato attuale non esiste.


Dan Neidle, fondatore del think tank “Tax Policy Associates”, ha dichiarato che la sentenza della Corte di Giustizia nel caso Apple avrà "implicazioni significative" per il modo in cui gli Stati membri e le multinazionali ripartiscono i profitti tra Paesi. Neidle ha sottolineato che la Commissione ha utilizzato con successo la normativa sugli aiuti di Stato per superare le barriere poste dai regimi fiscali nazionali. Anche esperti legali come Adam Craggs, partner dello studio legale RPC, hanno affermato che la sentenza potrebbe aprire la strada a ulteriori indagini su accordi fiscali storici degli Stati membri.


Prospettive future: la gestione dei fondi Apple e le sfide per il governo irlandese

Nei prossimi mesi, il governo irlandese sarà chiamato a gestire i fondi che Apple aveva depositato in un conto di garanzia, pari a circa 13,8 miliardi di euro, comprensivi degli interessi maturati. Questa somma rappresenta una significativa entrata per un Paese con un PIL di circa 500 miliardi di euro, e sarà oggetto di un intenso dibattito politico su come utilizzarla.


L'opposizione ha già chiesto che i fondi vengano investiti in progetti di utilità sociale ed economica, come la costruzione di nuove abitazioni e centrali eoliche offshore.

Il giornalista Cliff Taylor ha discusso nel podcast “In the News” dell’Irish Times diverse possibili opzioni per il governo. La scelta più prudente, ma probabilmente meno popolare, sarebbe quella di destinare i fondi alla riduzione del debito pubblico, attualmente pari a 234 miliardi di euro. Se l’intera somma fosse utilizzata a tale scopo, il debito potrebbe essere ridotto di circa sei punti percentuali, ma con pochi effetti tangibili nel breve termine.


Un'altra opzione cauta sarebbe quella di accantonare i fondi in riserve destinate a finanziare future esigenze, come il pagamento delle pensioni e degli stipendi del settore pubblico, in previsione di un possibile calo demografico. I fondi potrebbero anche essere utilizzati per affrontare le emergenze legate al cambiamento climatico. L’Irlanda ha già istituito due fondi sovrani per oltre 100 miliardi di euro, volti a fronteggiare sfide future in questi ambiti.


L'economia irlandese è in ottima salute, grazie anche alla presenza di multinazionali come Apple, attratte dal regime fiscale favorevole. Per il 2024, si prevede un avanzo di bilancio di 8,6 miliardi di euro. L’opposizione spinge per un impiego a breve termine dell’insperata entrata, mentre il Ministro della Spesa Pubblica, Paschal Donohoe, ha criticato tali richieste, sottolineando l'importanza di mettere da parte una parte delle risorse per il futuro, in caso di imprevisti.


Il governo ha già chiarito che questi fondi non verranno utilizzati per modificare la legge di bilancio per il 2025, che verrà presentata il 1° ottobre. Secondo l'Irish Times, la vera sfida non sarà la disponibilità di fondi, ma la capacità di reperire le risorse per costruire quanto necessario. Un problema non così diverso da quello che sta affrontando l'Italia con i fondi del PNRR, dove la realizzazione di progetti è rallentata da una burocrazia complessa e dalla carenza di tecnici specializzati.


Questa decisione, però,  non solo ha imposto ad Apple il pagamento di oltre 13 miliardi di euro, ma ha anche rafforzato il ruolo della Commissione nel controllo delle pratiche fiscali che distorcono la concorrenza nel mercato interno.

Il caso, infatti, va oltre la semplice imposizione fiscale a una grande multinazionale. La sentenza ha sollevato questioni più ampie sulla concorrenza fiscale all'interno dell'Unione Europea e la necessità di una maggiore armonizzazione delle normative fiscali tra gli Stati membri, oltre a rappresentare un campanello d'allarme per altre giurisdizioni che, come l’Irlanda, hanno attirato grandi multinazionali attraverso regimi fiscali vantaggiosi. In un contesto globale in cui le multinazionali cercano regimi fiscali vantaggiosi, l'UE si è trovata costretta a delineare una politica chiara per evitare che tali accordi compromettano il principio di parità di condizioni.


In definitiva, questa sentenza ha consolidato il ruolo della Commissione Europea come garante della concorrenza nel mercato unico, aprendo nuove prospettive per una regolamentazione fiscale più uniforme e giusta all'interno dell'Unione. Tuttavia, resta aperta la questione su come l'UE affronterà le sfide future poste dalle grandi multinazionali e dalla competizione tra Stati membri per attrarre investimenti attraverso politiche fiscali agevolate.



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